Il mio amore per la natura e per la scienza è nato insieme a me e si è manifestato fin dai primi anni della mia vita. Ho sempre avuto l’inspiegabile percezione che nella natura ci fosse la chiave di tutta la conoscenza e che essa potesse dare all’uomo tutte le risposte per essere felice in quanto manifestazione vivente dell’amore di Dio.
Non sempre però le mie percezioni interiori hanno trovato riscontro nella conoscenza secolare trasmessami dalla scuola e dai libri, per lo meno fino ad un certo punto della mia vita.
In terza elementare, durante una visita scolastica alla mostra del libro allestita all’interno della scuola, mentre tutti i miei compagni si accalcavano davanti al banchetto dei libri illustrati di avventura e fumetti, la mia attenzione fu attratta dalla copertina cartonata di un libro solitario su cui spiccava, su fondo nero, il disegno della sezione trasversale di una cellula eucariote tridimensionale con i suoi organuli evidenziati in vari colori e l’altisonante titolo “Medicina: guerra alle malattie”.
Acquistai il libro e cominciai a contare i minuti che mi separavano dal suono della campanella per poter correre a casa a sfogliarlo in tutta tranquillità. Le mie aspettative su quel libro erano enormi, ero convinta che tutti i misteri della vita e del benessere, di cui avevo percezione e desiderio di conoscenza, ma che per la mia giovane età e inesperienza non avrei saputo spiegare nemmeno a me stessa, mi sarebbero stati svelati da quel prezioso libro e tutto sarebbe stato più chiaro.
Il libro fu una vera delusione. All’interno della copertina, una fotografia ingrandita su doppia pagina schierava file di fiale di farmaci di vario tipo e foggia, antibiotici in polvere con i loro solventi, tutti allineati come soldati armati e pronti alla guerra. All’interno il libro era visivamente accattivante, tante belle illustrazioni di organi, apparati, strumentazione scientifica e personaggi che hanno fatto la storia della medicina, ma il messaggio era molto chiaro: “Negli ultimi secoli finalmente la guerra alle malattie diventa offensiva: la mente umana trapassa nel territorio nemico, acuisce in modo prodigioso la sua acutezza visiva, scova nell’immensamente piccolo gli autentici avversari, escogita con l’apporto di un esercito di studiosi i mezzi e le tecniche per debellare le schiere nemiche, stanandole dagli occulti loro regni e impegnandole allo scoperto in diretti, consapevoli combattimenti ad oltranza”.
Il libro raccontava la storia di questa guerra all’ultimo sangue contro i nostri microscopici avversari, virus, germi e batteri e di come l’evoluzione scientifica avesse permesso di affinare le armi contro i pericolosi responsabili delle nostre malattie, ma io sentivo chiaramente dentro di me che non era questa la storia che volevo ascoltare e così il libro finì in uno scaffale e rimase lì a prendere polvere senza essere più aperto.
Tuttavia ancora oggi lo conservo, a fianco dei miei libri che sono arrivati dopo, molto dopo, i libri di Chopra, di Panfili, di Lakhovsky, di Kent, di Hahnemann, di Lipton, di Braden e molti altri ancora. E’ lì come tenero ricordo della mia prima intuizione, intesa come strumento interiore del discernimento che guida le nostre scelte e che si è rivelata così importante nella mia vita. Oggi io considero l’intuizione un’altissima forma di pensiero, un modo superiore di comprendere e apprendere rispetto alla conoscenza “scientifica” che deriva dalla pura riflessione sull’esperienza, ma ho dovuto fare un lungo percorso di consapevolizzazione per radicarmi in questa certezza. Il dualismo che permea la nostra realtà è ancora nettissimo: da una parte la religione e la filosofia che abbracciano il pensiero Socratico di fede, spirito e intuizione, e dall’altra la scienza ed il materialismo Democriteo che si basano sull’intelligenza razionale e l’analisi dei fatti concreti.
Questi due principi apparentemente opposti e inconciliabili tra loro, sono in realtà due facce della stessa medaglia e se solo provassimo a fare un piccolo sforzo per scardinare quei modelli mentali che ci sono stati inculcati giorno dopo giorno, diventando le nostre credenze e il nostro limite, potremmo mirare ad una conoscenza più consapevole, che attinge alla fonte della conoscenza universale attraverso le energie sottili del sistema antenna-Uomo-DNA di cui siamo dotati e con essa convalida le acquisizioni della Scienza più pura e di quelle nuove discipline scientifiche di frontiera, che oggi più che mai si avvicinano e compenetrano la dimensione spirituale. Potremmo così stupirci di ciò che scopriamo e trovare delle nuove chiavi di lettura.
Molti grandi pensatori e uomini di scienza, passati e presenti, hanno avuto profonde intuizioni sulla natura della vita in diversi campi. Tipicamente sono stati coloro che con genuina onestà intellettuale hanno indirizzato la propria ricerca spinti dall’amore per la Verità e con l’obiettivo di raggiungere un reale benessere dell’uomo, anziché guidati dagli interessi politici ed economici di parte. Il più delle volte questi personaggi rivoluzionari sono stati messi ai margini, relegati a ruoli secondari o addirittura mistificati, plagiati e distorti dai poteri forti, generalmente a favore dei loro antagonisti, la cui linea di pensiero scaturiva maggiori interessi per la lobby di turno, nonché lucrosi e immediati business.
Una delle evidenti contrapposizioni ideologiche su concetti che hanno condizionato enormemente la ricerca scientifica, per esempio della genetica molecolare, ma anche i nostri comportamenti sociali più accreditati, è quella tra Darwin e Lamarck. Forse qualcuno si chiederà chi sia Lamarck, ma Darwin certamente lo conoscono tutti!
Per ricondurci al tema in discussione, l’idea della guerra come elemento necessario all’evoluzione è stata proprio introdotta da Charles Darwin con il concetto di selezione naturale, descritto nella sua opera l’Origine della specie nel 1859. Egli sostenne che gli individui di una popolazione sono in competizione fra loro per le risorse naturali e in questa lotta per la sopravvivenza, l’ambiente opera una selezione naturale che elimina di fatto gli individui più deboli, quelli meno adatti a sopravvivere a determinate condizioni ambientali. Solo i più adatti sopravvivono e trasmettono i loro caratteri ai figli. L’evoluzione per Darwin è dettata dalla “guerra della natura, le carestie e la morte”.
Non stupiamoci nel constatare come questa dottrina abbia contribuito a creare una società in cui i rapporti interpersonali sono basati sulla competizione, sul concetto “mors tua vita mea”, in cui la sconfitta del mio prossimo equivale alla mia vittoria, in una competizione nella quale ci sarà un solo vincitore.
Se solo ci soffermassimo un attimo ad osservare noi stessi, a vedere ogni uomo non come un singolo, ma come una comunità cellulare fatta da svariati miliardi di cellule che cooperano in un’associazione altamente organizzata ed efficiente, potremmo verificare, o anche solo intuire, come la collaborazione proattiva tra i membri di una comunità, ognuno con un compito individuale specifico, possa incrementare sensibilmente l’efficienza di tutto l’organismo ed anche la sua capacità di sopravvivenza.
Sebbene non sia diventato famoso come Darwin, il biologo francese Jean-Baptiste Lamarck formulò una teoria dell’evoluzione molti anni prima di Darwin dandole una interpretazione diversa e molto meno intransigente della sua. Egli suggerì l’idea che l’evoluzione si basasse su un rapporto cooperativo e non competitivo fra gli organismi ed il loro ambiente. Gli organismi si modificano e acquisiscono complessità in base agli adattamenti nei confronti delle diverse condizioni ambientali ed inoltre sono in grado di trasmettere i caratteri che sono legati alla sopravvivenza alle generazioni future. Non saremmo quindi di fronte alla legge della giungla che seleziona i caratteri dominanti della specie, attraverso una lotta per la sopravvivenza all’ultimo sangue, bensì ad una coesistenza collaborativa fra organismi più e meno dotati, con differenti qualità e talenti, ma ciascuno perfetto per il compito che deve svolgere, messi al servizio l’uno dell’altro in un rapporto reciprocamente proficuo.
La teoria di Lamarck non è stata minimamente sostenuta dai principi della biologia classica, ma è interessante vedere come sia invece in piena sintonia con le nuove acquisizione dell’epigenetica ed i principi della moderna biologia cellulare, secondo cui ogni cellula è capace di imparare dalle esperienze legate all’ambiente e di creare una memoria cellulare che viene poi trasmessa alle cellule figlie.
Il ruolo della cooperazione è fondamentale per sostenere la vita nella biosfera. Con l’Ipotesi di Gaia James Lovelock ha descritto il pianeta Terra come un super-organismo che comprende tutte le specie che lo abitano ed i loro ecosistemi, in un sistema complesso, altamente organizzato in cui tutti gli elementi sono interconnessi tra di loro e cooperano al mantenimento delle condizioni più idonee alla vita.
Nella nostra biosfera le piante, gli animali, i gas atmosferici, il terreno, le acque, i batteri e gli altri microrganismi, ma anche l’attività sismica, vulcanica e meteorica, fanno tutti parte di un immenso sistema interattivo che funziona con la perfezione di un orologio, almeno finché non se ne altera l’equilibrio.
La stessa cosa accade nell’organismo Uomo, in cui ogni cellula presiede il ruolo funzionale che gli è dovuto, nell’ambito della propria comunità cellulare, contribuendo in modo attivo al buon funzionamento del nostro sistema nervoso, apparato digerente, respiratorio, escretorio, endocrino, circolatorio, muscolo-scheletrico, riproduttivo, tegumentale, immunitario. Di questo sistema spontaneo ed autopoietico fanno parte anche i milioni di cellule batteriche che ospitiamo regolarmente nella nostra pelle e nei nostri organi, in particolare nel sistema digerente. Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus bifidus e Escherichia coli, per esempio, costituiscono la flora batterica endemica che presiede a funzioni essenziali per la nostra salute come l’adeguato assorbimento ed utilizzo delle particelle di cibo, il nutrimento delle cellule, la stimolazione della peristalsi, la detossificazione delle feci e la sintesi delle vitamine B12 e K.
I batteri sono quindi dei collaboratori assolutamente normali per il nostro corpo. Mentre le cellule organizzano i tessuti e gli organi, essi lavorano in simbiosi con l’organismo che li ospita da milioni di anni assistendolo in caso di guasto, pulendo il sistema, rimuovendo l’accumulo di materiali tossici e stimolando la sintesi di nutrienti indispensabili per il nostro benessere.
La cooperazione fra batteri ed esseri umani è un fatto innegabile, eppure negli ultimi decenni siamo stati educati a considerare i batteri dei nemici e ad utilizzare armi sempre più specifiche per debellare i microrganismi, gli antibiotici in primis, ma anche detersivi, saponette, collutori e perfino deodoranti germicidi e battericidi.
Una vera e propria “batterio-fobia” che ha spinto lo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate di immunizzazione dai microbi che vanno dalla sterilizzazione, alla vaccinazione o alla pastorizzazione.
Proprio quest’ultima prende il nome dal suo ideatore, Louis Pasteur che, nella seconda metà dell’800, diede la paternità alla Batteriologia e ispirò il protocollo terapeutico oggi ufficialmente accettato dalla medicina occidentale ortodossa, che si basa sulla sua Teoria dei Germi della Malattia.
Tale teoria afferma che le malattie sono provocate dell’infezione di microbi aggressivi e specifici, un germe per ogni malattia, proveniente da una fonte esterna di contagio, che è in grado di replicarsi e diffondere nell’organismo. L’uomo ne sarebbe l’ignara vittima e questo è senz’altro un modo conveniente per svincolare il coinvolgimento individuale nel processo di genesi delle proprie malattie, che punta il dito contro terzi, i microbi, colpevoli invasori dell’organismo e deresponsabilizza l’individuo, gli ritira ufficialmente il patentino di protagonista, o quanto meno di attivo collaboratore nel progetto di realizzazione della propria salute. In questo modello interpretativo il patentino di cura viene consegnato ufficialmente alla classe medica, ma solo a quella che insegna e pratica i protocolli della medicina allopatica basati sulla teoria di Pasteur.
Nel mondo occidentale praticamente tutti sono stati educati secondo la teoria dei germi e nessuno ha mai dubitato del fatto che la malattia sia una diretta conseguenza dell’attività malevola di un agente patogeno esterno. E’ notizia recente (6 marzo 2012) il divieto di strette di mano per gli atleti britannici alle Olimpiadi di Londra perché si teme il contagio da virus. La British Olympic Association (BOA), ha dichiarato: “La maggiore minaccia alla performance dei nostri atleti è un virus oltre che un infortunio. Bisogna minimizzare i rischi di malattia”.
Sarà vero? Cosa veramente ci fa ammalare?
Occorre fare qualche ragionamento aggiuntivo e per questo è necessario introdurre l’antagonista boicottato di Pasteur, Antoine Béchamp. Il dimenticato batteriologo contemporaneo di Pasteur fece grandi scoperte scientifiche, mai portate alla ribalta se non da un gruppo ristretto di menti illuminate del suo tempo, che gli hanno consentito di ottenere numerosi riconoscimenti, venuti però alla luce solo dopo la sua morte.
La differenza sostanziale tra Pasteur e Béchamp è che il primo fu sostenitore del monomorfismo, cioè del principio secondo il quale i batteri sarebbero entità immutabili per struttura biologica e caratteristiche chimiche ed avrebbero una singola forma per ogni singola malattia di cui sono la causa, Béchamp invece descrisse e documentò il pleomorfismo, il processo di mutazione attraverso il quale i batteri, partendo da un comune precursore, possono cambiare in lieviti, da lieviti a funghi, da funghi a muffe, ecc. a seconda dell’influenza ambientale esercitata dai liquidi del tessuto cellulare nei quali risiedono, che ne modifica il metabolismo obbligando e/o permettendo mutazioni e quindi trasformazioni di forma e funzioni.
Ciò che Béchamp intuì e descrisse con il solo ausilio di rudimentali strumenti di osservazione, venne poi confermato con l’utilizzo di microscopi a notevole ingrandimento, con peculiari caratteristiche di illuminazione dei campioni, tali da evitare l’utilizzo di coloranti e poterne così preservare la vitalità (è una brutta e sconveniente abitudine della nostra scienza quella di osservare molecole e cellule morte e pretendere di scoprire da esse le caratteristiche ed i comportamenti della vita!).
Nel 1968 René Jules Dubos, Premio Pulitzer ed eminente microbiologo e patologo, dimostrò sperimentalmente che la virulenza delle specie microbiche è variabile, ma già nel 1914 gli esperimenti di E. C. Risenow dimostrarono che i batteri del pus (streptococchi) possono mutare in batteri polmonari (pneumococchi) e viceversa, semplicemente alterando un poco il loro ambiente e nutrendoli in modo particolare. Altri due microbiologi americani, in esperimenti similari, furono in grado di mutare dei cocchi (batteri sferoidali con cellule a grappolo) in bacilli (batteri a bastoncello) e poi farli ritornare di nuovo alla forma originale.
Mi sento di sottolineare l’aderenza di tutto ciò alla teoria lamarckiana dell’evoluzione ed anche al moderno pensiero epigenetico che sostiene il ruolo dominante dell’ambiente nell’attivazione e disattivazione di gruppi di geni.
Se il nostro metabolismo è sano e l’ambiente dei liquidi cellulari non è intossicato, non si avrà trasformazione anomala di funghi e microbi.
Quando invece si verifica una condizione di elevata tossicità localizzata, come durante un’infiammazione, e vengono superati i livelli di guardia, l’organismo diventa un terreno biologico recettivo, chiama all’opera di restauro colonie batteriche in simbiosi opportunistica con il corpo, provenienti dall’intestino e/o da altri distretti, come per esempio un focolaio tonsillare, ecc. e li trasporta laddove si sono concentrati i veleni. Si innesca così una fase infettiva, in cui i batteri simbionti proliferano, ma con la sola finalità prioritaria di agevolare la rimozione degli agglomerati tossinici accumulati, si forma del pus per aggregazione di cellule morte, si attivano i globuli bianchi. Questo coincide con la fase di produzione dei sintomi come riniti, bronchiti, congiuntiviti, coliti, faringiti, otiti, ecc. , che noi chiamiamo comunemente “malattia”, ma che sono dei veri e propri programmi di autopulizia e di guarigione innescati e resi manifesti dal corpo per contrastare la vera malattia, il disordine instauratosi nella fase precedente, apparentemente invisibile.
Non sono stati i batteri e i germi a provocare la “malattia”, a causare la morte del materiale organico sul quale agiscono, ma essi giocano un ruolo importante nell’evoluzione e nell’esito della malattia stessa, in qualità di aiutanti nella decomposizione delle cellule morte che hanno completato il loro ciclo vitale, che utilizzano poi come nutrimento per crescere e riprodursi.
A determinare i sintomi della malattia e la tipologia di germe che prolifererà sono invece le condizioni dell’ambiente interno dell’ospite, nonché il foglietto embrionale di origine del tessuto sul quale opererà, come vedremo tra poco. In sostanza il corpo, impregnandosi di tossine, genera occasioni di “malattia” perché crea l’ambiente adatto alla proliferazione di quel particolare tipo di microbo che vi si stabilirà e coopererà con esso.
L’ambiente è l’oceano che circonda ogni singola cellula. Perché può diventare acido, tossico e inquinato? I motivi sono molteplici e vanno dagli errori alimentari, come per esempio un eccessivo consumo di proteine i cui metaboliti sono acidi forti, ma anche all’impiego di cibi inadatti per quella persona, all’assunzione di terapie farmacologiche o di vaccini, al fumo, uno stile di vita sregolato con scarso sonno, gli stress psichici, le paure, le ansie irrisolte, mantenere risentimento o odio ad oltranza, i pensieri negativi (certi pensieri possono essere più acidificanti di una bistecca!), le reazioni emozionali non in linea con il nostro codice biologico, tanto per fare qualche esempio. Le emozioni mettono in circolo neurotrasmettitori e ormoni, che ne sono la traduzione biochimica e questi dovranno essere poi metabolizzati e smaltiti, insieme a tutti gli altri rifiuti metabolici, da un comune sistema di disintossicazione biochimica.
In un linguaggio perfettamente analogico, ma di grande effetto, James Tyler Kent scrive: “Quando l’interno dell’uomo è folle, è solo questione di tempo perché il corpo manifesti a sua volta le conseguenze della follia, poiché l’interno dell’uomo dà forma all’esterno”.
Non vi sono cause se non all’interno. Se le cellule sono sane, non c’è cibo o terreno recettivo per i batteri e nessun motivo per indurre in loro mutazione di forma e funzione, diffusione e proliferazione, essi rimarranno nei loro territori come pacifici simbionti, mentre invece si moltiplicheranno rapidamente come cooperanti attivi laddove ci sono tossici da decomporre e con cui banchettare. Ovviamente anche i detriti prodotti saranno altamente tossici e potrebbero essere pericolosamente nocivi per l’organismo se accumulati anziché accuratamente drenati ed espulsi, proprio come succederebbe ad una città sommersa dalla spazzatura. Dopo l’intervento di riparazione degli spazzini, non appena l’ambiente presenterà condizioni a loro avverse ed il nutrimento comincerà a scarseggiare perché muco, pus o feci con i loro carichi tossinici saranno stati adeguatamente allontanati dall’organismo, essi moriranno e si ristabiliranno le condizioni di equilibrio. Per guarire quindi, è necessario in primis smettere quelle azioni che producono acidità e sporcizia nell’ambiente cellulare, comprendere chi siamo e nutrirci di alimenti e di emozioni adatti a noi ed al nostro codice biologico, cioè in sintonia con quei fattori bio-sensoriali specifici che rendono ognuno di noi un individuo unico e irripetibile.
I germi e i batteri sono onnipresenti e ne respiriamo normalmente circa 14.000 ogni ora. Con questi ritmi di aggressione dovremmo essere perennemente ammalati o addirittura moribondi! Per essere riconosciuto come causa di malattia un germe dovrebbe provocarla tutte le volte che “infetta” un corpo, dovrebbe esercitare la sua influenza in modo ricorrente, sistematico e specifico. In realtà gli esseri umani sono sempre “infetti” da batteri e germi perché, come già detto, essi sono costantemente presenti nel corpo, quindi non si può dire che hanno “invaso” l’ospite.
Inoltre i microrganismi che definiamo patogeni in realtà non sono in grado di dirigere autonomamente un processo patogenetico in modo coordinato, ma sono invece al servizio e sotto la direzione di quella intelligenza unificata tra psiche-cervello e organo, di cui è dotato il nostro corpo, che è in grado di innescare i Programmi Speciali Biologici Sensati (SBS – secondo la definizione del Dr. Geerd Hamer), che vengono definiti comunemente “malattia”.
La Teoria dei Germi pretenderebbe di dimostrare che il Creatore, nella sua infinita saggezza, avrebbe regalato all’Umanità questi microrganismi per farci ammalare. In realtà non c’è nulla che sia stato mandato sulla Terra per distruggere l’uomo, nel piano Divino ogni componente della Natura ha significati e ruoli che si intersecano in un perfetto e armonico progetto universale.
Anche il concetto di contagio andrebbe totalmente riscritto. E’ noto che una comunità esposta allo stesso ambiente, i cui membri sono in contatto reciproco, come per esempio una famiglia, una classe o un ufficio, non presenta lo stesso grado di suscettibilità alla malattia, alcuni soggetti manifesteranno dei sintomi, mentre altri ne rimarranno immuni. Normalmente si dice che questo avviene perché i primi hanno il sistema immunitario più debole degli altri. Ma cos’è che causa l’indebolimento delle difese immunitarie? Tipicamente sono tutti i comportamenti già elencati in precedenza, che innescano o intensificano lo stato di tossicità dell’organismo andando ad impregnare di tossine il nostro Sistema Reticolo Endoteliale (SRE), una sorta di archivio immunitario che registra fedelmente, come fosse un nastro magnetico, tutti gli eventi della nostra esistenza legati all’immunità, dalla prima vaccinazione all’ultima tonsillite, oltre a tutti gli sgarbi alimentari e non, che abbiamo inferto al nostro corpo. Tuttavia le scorie tossiniche di ciascuno non possono essere trasferite ad un altro individuo attraverso il normale contatto.
L’idea del contagio non è reale, nessuno può trasferire ad un altro la propria malattia, come pure non può passargli la sua salute. Sembra però che quando una persona in uno stato fortemente tossemico venga in contatto con un’altra in una situazione simile, ciò attivi una crisi risanante, con l’obiettivo di spremere fuori le tossine accumulate nella spugna mesenchimale del SRE. Ecco allora che il sistema verrà sollecitato in tal senso attivando il programma di riparazione e gli infaticabili germi collaboreranno al processo di vicariazione progressiva, mentre invece chi non ha suscettibilità preesistente perché il suo ambiente interno è “pulito”, non reagirà alle stimolazioni tossiniche e pertanto non sarà soggetto a nessun tipo di contagio.
Secondo la filosofia omeopatica è la psora la causa di ogni contagio. La psora, in base alla definizione di Hahnemann “corrisponde a quello stato in cui l’economia dell’organismo umano ha raggiunto un tal grado di disordine da essere predisposta a ogni influenza ambientale”.
Sostanzialmente è la contaminazione del nostro sistema interno causata dalle nostre abitudini nocive a predisporre alle “epidemie”, così come l’inquinamento antropico e l’abuso delle risorse del nostro pianeta lo predispongono alle “catastrofi naturali”, che per altro stiamo osservando sempre più frequentemente sulla Terra ai nostri giorni, ma a cui si evita di dare il giusto peso e la reale interpretazione.
Quando compaiono i sintomi, di regola si provvede immediatamente alla loro soppressione mediante l’utilizzo di farmaci. L’allopatia, basata sulla Teoria dei Germi, scambia le conseguenze per la causa, ma in realtà si possono distruggere i batteri senza peraltro distruggere la malattia.
Il medico americano Lewis Thomas disse: “Non compatire l’uomo che ha preso i batteri, ma piuttosto i batteri presi dall’uomo”.
L’abituale ricorso ai farmaci come antibiotici e antinfiammatori per uccidere i batteri, non solo ostacola il naturale processo di detossificazione messo in atto dal corpo, ma lo sovraccarica di ulteriori veleni che dovranno essere ugualmente espulsi. Poiché le tossine farmacologiche, essendo arrivate per ultime, richiamano con diritto di precedenza il lavoro dei batteri-spazzini, ecco che il momentaneo abbandono del terreno originario da parte dei germi che vi svolgevano la crisi risanante, a favore del nuovo intervento di emergenza che si è reso necessario, fa si che scompaiano momentaneamente i sintomi iniziali, mentre ne compariranno altri a scelta tra quelli elencati nella lista degli effetti collaterali del farmaco assunto.
Il risultato finale, oltre all’indebolimento progressivo dei nostri sistemi di difesa naturali, sarà lo sviluppo di resistenze agli antibiotici, che pertanto agiranno sempre meno, la degenerazione dei batteri a funghi come la Candida Albicans che colonizzerà permanentemente l’intestino e l’aumento esponenziale di malattie iatrogene.
La teoria medica convenzionale include, tra le cause di malattia, oltre ai batteri di cui abbiamo estesamente parlato, anche i virus, ma mentre la natura biologica dei batteri è consolidata e chiara, quella dei virus è ancora incerta e controversa.
I batteri sono la più piccola forma di vita animale o vegetale esistente, sono microrganismi unicellulari grandi solo pochi micrometri (1 µm = 10-6 m). I virus invece sono entità biologiche generiche molto più piccole, delle dimensioni di qualche decina di nanometri (1 nm = 10-9 m)e si dice siano tutti parassiti endocellulari obbligati, responsabili di malattie in organismi appartenenti a tutti i regni biologici, dai batteri ai funghi, alle piante e agli animali, compreso l’uomo.
“Virus” è infatti una parola latina che significa veleno, virulento deriva da “virulentus” che vuol dire velenoso, anche se oggi gli si associa più comunemente il significato di contagioso.
Secondo l’interpretazione ufficiale della teoria virale delle malattie, il comportamento parassita e contagioso dei virus sarebbe dovuto al fatto che, non disponendo di tutte le strutture biochimiche necessarie per la loro replicazione, essi reperirebbero tali strutture nella cellula ospite in cui penetrano, utilizzandole per riprodursi in migliaia di copie, fino alla morte della cellula stessa per esaurimento dei suoi apparati biosintetici.
In questa spiegazione ci sono però alcuni elementi contradditori che meriterebbero una ricerca più approfondita. Innanzi tutto bisogna prendere atto che in natura non esiste nessun altro esempio di essere vivente (la cellula) costretto a riprodurre qualcosa che non appartiene alla propria specie (il virus). Secondariamente, le immagini che mostrano virus che si iniettano all’interno della cellula infettandola, potrebbero essere banalmente dei processi di fagocitosi nei quali la cellula ingerisce fisiologicamente materiali estranei e li distrugge. La biologia classica descrive infatti un “periodo di eclissi”, che intercorre tra la penetrazione del virus nelle cellule e la maturazione della cosiddetta progenie virale, in quanto il virus, una volta inglobato, non è più reperibile come entità morfologica a sé stante.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che i virus non sono dotati di nessuna capacità di movimento autonomo, non hanno un sistema nervoso, sensoriale, né tantomeno un centro di controllo che coordini le attività di invasione delle cellule di qualsiasi natura e, dulcis in fundo, non sono mai stati osservati vivi. I virus da coltura cellulare creati in laboratorio vengono ottenuti nel corso del ricambio cellulare sempre e solo da cellule morenti.
Ecco allora che alcuni dei comportamenti attivi attribuiti ai virus come “iniettarsi”, “essere in latenza”, “invadere”, avere uno “stadio attivo”, “impadronirsi”, “riattivarsi” o “mascherarsi”, perdono totalmente di significato se riferiti a materiale organico non vivente perché queste azioni, per avere un senso biologico, richiedono perlomeno quei meccanismi di controllo metabolico di base che caratterizzano tutte le forme di vita, comprese quelle inferiori.
E’ molto probabile che i virus siano in realtà frammenti di genoma (DNA) e nuclei mitocondriali, provenienti dalle decine di miliardi di cellule del nostro corpo che muoiono normalmente ogni giorno per apoptosi (meccanismo di morte cellulare programmata) e che vengono autodigerite dai lisosomi, gli organuli che rappresentano il sistema digerente delle nostre cellule, ma che spesso, a causa della guaina proteica a doppio stato lipidico che circonda e protegge il genoma, non si decompongono completamente, lasciando così queste porzioni di scorie cellulari esauste con membrane irregolari e frastagliate, che noi chiamiamo virus.
Come può allora del materiale organico inerte, privo anche delle più elementari caratteristiche della vita, essere responsabile delle infezioni che causano malattie?
La stessa medicina ufficiale ammette che l’infezione non sempre può completarsi e andare a buon fine, ma sarà “produttiva” solo se la cellula ospite è sensibile e permissiva, cioè mette a disposizione tutti quei meccanismi molecolari-cellulari che risultano adeguati alla completa trascrizione del genoma virale ed alla sintesi di tutte le proteine virus-codificate.
Se volessimo proprio dare un significato patogeno ai virus, potremmo attribuirlo al loro accumulo nel corpo come scorie tossiche, come avviene per le sostanze inquinanti ingerite dall’esterno, in caso di sovraccarico oltre le capacità di espulsione dell’organismo.
Un importante contributo sul senso biologico di funghi, batteri e virus è stato dato dalle originali scoperte scientifiche del Dr. Ryke Geerd Hamer che, nell’ambito delle 5 Leggi Biologiche della Natura che ha descritto, ha proposto il Sistema Ontogeneticamente determinato dei Microbi.
In accordo con quanto detto finora, Hamer sostiene fermamente il principio secondo il quale i microbi sono indispensabili per la nostra sopravvivenza e che hanno la funzione biologica precipua di difendere organi e tessuti per mantenerli in buono stato di salute.
Aggiunge inoltre che in condizioni di quiete (“Normotonia” secondo Hamer) ed anche durante le fasi di squilibrio iniziale nelle quali il corpo subisce tossificazione (“Conflitto attivo” simpaticotonico, secondo Hamer), i microbi sono dormienti. Invece, nel momento in cui si ha la
soluzione del conflitto e cessano leazioni inquinanti (“Conflitto-lisi” CL secondo Hamer), i microbi che risiedono nell’organo sede del conflitto, ricevono impulso dal cervello di supportare il processo di guarigione (“Fase di riparazione” vagotonica inclusa la crisi simpaticotonica, secondo Hamer) che corrisponde alla crisi risanante nella quale compaiono i sintomi e dove i microbi hanno un ruolo fondamentale per il ripristino dell’equilibrio.
L’originalità del lavoro di Hamer sta nell’aver classificato i microbi in base ai foglietti embrionali da cui originano i tessuti sui quali agiscono ed alle aree cerebrali che coordinano l’attività dei microbi stessi.
Questo significa che secondo Hamer ogni tipologia di microbo non supererà mai la propria soglia tissutale di competenza, in accordo con un sistema biologico che è intrinseco in ogni specie.
I funghi (per es. la Candida Albicans) ed i micobatteri (per es. quelli tubercolari), che sono i microbi più antichi, opereranno esclusivamente nei tessuti che originano dai foglietti embrionali più ancestrali, cioè endoderma e mesoderma antico, i quali sono anche controllati dalle porzioni più antiche del nostro cervello, il tronco cerebrale e il cervelletto, ed avranno una funzione di demolitori, rimuovendo per decomposizione le cellule non più necessarie, che verranno poi escrete attraverso feci, urine e muco.
I batteri (non micobatteri) collaboreranno invece con i tessuti che derivano dal mesoderma antico, controllato dal cervelletto, e dal mesoderma nuovo, controllato dalla sostanza bianca encefalica. Anche questi batteri (per es. Stafilococco o Streptococco) avranno una funzione di rimozione delle cellule non più utili, ma anche di riempimento delle perdite tissutali che si sono verificate durante le fasi di squilibrio nel conflitto attivo.
L’assenza di questi batteri o la loro soppressione farmacologica fa si che il processo di guarigione e ripristino non avvenga con un decorso biologico ottimale. I sintomi che si manifestano in questa fase, come scariche intestinali, edema, infiammazione, febbre e dolori vengono identificati come effetti dell’infezione, ma sono in realtà il segno che si è innescato il processo di recupero naturale del corpo mediato dai microbi.
Per quanto riguarda i virus, in linea con quanto già esposto in merito, Hamer dà rilievo all’assenza di prove scientifiche che certifichino l’esistenza dei virus quali causa di malattia, tanto da parlare di “virus ipotetici”.
Tanto andrebbe chiarito ancora su questo tema, mettendo ordine fra le numerose ipotesi non confermate di varie provenienze, ma coerentemente con le ragioni evolutive che hanno guidato Hamer nella classificazione del sistema ontogenetico dei microbi, egli sostiene che se i virus esistessero potrebbero avere un ruolo nella ricostruzione dei tessuti più recenti, di origine ectodermica e controllati dalla corteccia cerebrale.
In conclusione, sembra piuttosto evidente che il filo conduttore di tanti ricercatori indipendenti che si sono sforzati di trovare la verità, ci porta a capire che il corpo umano non è solo una meravigliosa opera di ingegneria, una macchina dal funzionamento sofisticato ad altissime prestazioni che però ogni tanto si guasta a causa di aggressioni esterne. E’ molto di più di questo.
Il nostro corpo è un intero universo all’interno del cerchio della natura, un microcosmo nel macrocosmo in cui tutto è collegato e interdipendente. Dentro di noi coesistono tutti i fattori che determinano la salute e la malattia, il problema e la soluzione, la felicità e l’infelicità. L’umanità non può essere separata dalla natura: l’uomo è la natura che si manifesta come tale. Noi pertanto siamo gli architetti del nostro universo, cosicché quando gli elementi della natura sono in equilibrio la vita è armoniosa e rigogliosa, quando invece l’equilibrio è turbato, si preparano i guai.
La malattia ha un’origine sottile, è riconducibile ad un antecedente causale che incide sulla forza vitale dell’uomo, prima ancora che qualunque sintomo si manifesti. L’uomo è malato nel suo stato interno prima che il linguaggio della natura si esprima attraverso i sintomi in un organo piuttosto che in un altro. I tessuti non si sarebbero potuti ammalare se prima non vi fosse stato un disordine interno che li ha fatti ammalare. L’economia interna dell’uomo si basa sul mettere ordine nella sua volontà e nel suo intelletto, poichè il disordine procede dall’interno verso l’esterno fino ai nostri supporti fisici, i tessuti e le loro funzioni.
Se scambiamo le conseguenze della malattia per la malattia stessa, saremo indotti a credere di poter eliminare la malattia eliminando le sue conseguenze. I batteri sono una conseguenza della malattia, sono presenti ovunque vi sia malattia perché l’accompagnano come sciacalli, mangiatori di carogne perfettamente adattati alla loro nicchia ecologica.
Forse è giunto il momento di cominciare a cambiare qualcuna delle nostre credenze.
Potremmo farci ispirare da Jimmy Livingston, il giovane protagonista del film commedia “Bubble Boy” che, convinto dalla folle madre di non avere il sistema immunitario e di essere quindi una facile preda per gli innumerevoli aggressori esterni, è costretto a vivere prigioniero dentro una bolla di plastica sterile, isolato dal mondo esterno e dalle sue brutture. Per amore di Chloe e della vita però, il ragazzo supererà i luoghi comuni e i condizionamenti, si libererà della bolla e acquisirà la consapevolezza che nulla là fuori lo avrebbe attaccato, perchè tutti gli strumenti che gli servono per vivere felice e protetto sono già dentro di lui.
BIBLIOGRAFIA:
Exposing the Myth of the GERM THEORY – College of Practical Homeopathy 2005
Devi essere connesso per inviare un commento.
Salve! Ho trovato molto interessante l’articolo sui batteri. Avrei bisogno di un chiarimento: si dice che il tetano sia causato da un batterio che rilascia una neurotossina. Come si spiega in realtà questa malattia? E la meningite di cui si parla tanto ultimamente? Grazie anticipato per la cortese risposta e complimenti per l’ottimo articolo.
Giuseppe
Buonasera Giuseppe, innanzi tutto la ringrazio per il suo apprezzamento all’articolo. La sua domanda è molto impegnativa e non credo di avere le competenze per poterle dare una completezza di risposta, ma forse qualche spunto di riflessione sì. E’ fuor di dubbio che i batteri, soprattutto se con carica elevata, abbiano potenzialmente la capacità di provocare parecchi danni. Il Clostridium tetani, piuttosto che i meningococci sono ben descritti e studiati e sono ritenuti dalla medicina la causa della patologia a cui sono correlati. La mia osservazione, come ho cercato di motivare nell’articolo, è che tutti i batteri di cui parliamo sono già presenti nel nostro corpo e vivono sereni insieme a noi finché qualcosa non interferisce con il nostro equilibrio. Questo ci fa capire che come un seme non può nascere in un terreno non adatto, così anche i batteri non possono proliferare se non hanno un ambiente idoneo alla loro crescita incontrollata. Il nostro equilibrio è fatto di tante cose, ma una di queste molto importante è quella che io chiamo integrità bio-psichica, cioè l’equilibrio emotivo individuale che soddisfi le richieste biologiche della nostra fisiologia, in una parola semplicistica, l’assenza di ‘stress’ emotivo che fiacchi le nostre centraline di controllo e cioè il sistema autonomico prima, poi quello ormonale e infine il sistema immunitario, senza la cui efficienza siamo più vulnerabili. Il discorso sarebbe più complesso, ma la sostanza è che non tutte le persone si ammalano e quelle che lo fanno non è per caso, ma per rispondere a delle precise richieste biologiche del corpo, in particolare quelle alle quali non abbiamo saputo rispondere in altro modo. Ci vorrebbe sperimentazione per affermare la bontà di questi meccanismi, ma gli indizi sono molto chiari. Buona serata