Il fondamentalismo scientista
e le nuove ipotesi evoluzionistiche
di Enzo Pecorelli
Nei secoli scorsi, chi osava sostenere posizioni intellettuali o scientifiche contrarie alle ideologie e ai dogmi dominanti, quasi sempre di natura religiosa, veniva sistematicamente e violentemente combattuto.
In alcuni casi, come quello di Galileo Galilei, gli “eretici” che si macchiavano di tali “crimini” subivano punizioni esemplari. In altri casi, venivano addirittura arsi vivi, come capitò a Giordano Bruno.
Si potrebbe pensare che oggi le cose siano cambiate ma, in realtà, la situazione è rimasta praticamente la stessa anche se, in molti casi, vittime e carnefici si sono scambiati di posto.
Infatti, a lanciare gli anatemi più deliranti oggi non è tanto il potere religioso quanto piuttosto la fazione più scientista di un certo mondo accademico o presunto tale.
Sintomatica, a tale proposito, è la singolare vicenda occorsa ad Antony Flew, il famoso scienziato ed epistemologo ateo britannico. Egli è stato uno dei più convinti paladini dell’ateismo scientifico per quasi tutta la sua vita ma, nel 2004, a soli sei anni prima di morire, studiando la genetica e il DNA, ha coraggiosamente dichiarato di essersi convertito e di credere all’esistenza di un Dio. Ebbene, a questo punto alcuni suoi ex discepoli, tra cui il biologo Richard Dawkins, hanno preso ad attaccarlo pesantemente e maleducatamente. In particolare, ignorando che esistono numerosi disturbi e turbe mentali che possono colpire anche chi è più giovane di età e che pensa di essere sano e perennemente nel giusto, hanno offeso ripetutamente il loro ex maestro attribuendo la sua conversione a una sua presunta demenza senile.
Flew, dal canto suo e con educazione estrema, si è limitato a spiegare, con dovizia di particolari, i motivi della sua conversione nel libro “Dio esiste. Come il più famoso ateo del mondo ha cambiato idea” (Alfa & Omega, 2010). In tale pubblicazione egli assicura di aver fatto il grande passo per dovere di coerenza con i risultati dei suoi studi scientifici, e spiega dettagliatamente la sua posizione intellettuale.
È anche il caso di notare che, quando si verifichi la situazione opposta, cioè quando sia un credente a trasformarsi in ateo, le reazioni non sono quasi mai così isteriche ed esagerate.
Un esempio illuminante può essere quello relativo a Stephen Hawking, il celebre astrofico inglese noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri. Egli, nel suo recente libro “Il Grande Disegno” (Hawking Stephen, Mlodinow Leonard, Mondadori, 2011), sconfessando quanto aveva sostenuto precedentemente, ha dichiarato che “La creazione dell’universo non ha alcun bisogno di un creatore”.
Senza entrare nel merito della questione, che richiederebbe ben altro spazio, competenze e riflessioni, qui mi preme solo sottolineare la notevole differenza di stile e di atteggiamenti dei due schieramenti contrapposti. Quando un ateo diventa credente le reazioni sono violente ed isteriche mentre nel caso contrario la cosa viene accettata con grande educazione e tolleranza.
La conclusione è evidente: gli attuali esponenti del mondo scientifico sono più fondamentalisti e fanatici di quanto lo erano, un tempo, i detentori del potere religioso e gli inquisitori medievali, spagnoli e romani.
Gli scientisti attuali non si oppongono solo all’idea dell’esistenza di un Dio ma anche a tutte quei paradigmi che non accettano la teoria evoluzionistica darwiniana.
Infatti, come riporta il matematico e filosofo William A. Dembski, autore del libro “Voci fuori dal coro” (Alfa & Omega, 2012), coloro che osano mettere in discussione il darwinismo sono spesso accusati, nelle celebri parole del biologo Richard Dawkins, di essere ignoranti, stupidi, pazzi, o profondamente malvagi. E costoro vengono accusati di tali nefandezze da personaggi che, evidentemente, pensano di essere gli unici a possedere una laurea e ad aver studiato la biochimica e la genetica e che, per tale motivo, pensano di essere gli unici e infallibili detentori della Conoscenza. Di conseguenza, non riconoscono alcuna dignità di esistenza a qualunque altra teoria si discosti dalle loro anacronistiche e improbabili convinzioni. Tale atteggiamento, naturalmente, danneggia gravemente il progresso scientifico e speculativo, poiché impedisce di prendere anche solo in considerazione tutti quei punti di vista che sono in disaccordo con il pensiero dominante.
In questo particolare panorama non era facile proporre una nuova ipotesi evoluzionistica. Ma il dr. agromono-forestale italiano, Pellegrino De Rosa, ha voluto ugualmente provarci presentando una rivoluzionaria teoria denominata Plasticismo evolutivo o Evoluzionismo ideoplastico che vorrebbe addirittura provare a conciliare le opposte fazioni degli evoluzionisti tradizionali con quelle dei sostenitori dell’Intelligent Design.
In sintesi, tale teoria, pur ammettendo che l’evoluzione delle specie viventi costituisca un indiscutibile dato di fatto, ipotizza che essa sia causata non dal cieco caso o dall’azione diretta di un Dio ma da un’azione ideoplastica della psiche dei viventi, la quale determinerebbe – in maniera diretta e con meccanismo quantistico – le corrispondenti mutazioni nel materiale genetico degli individui riproduttori.
L’autore ha elaborato questa che ancora definisce una semplice “ipotesi di studio” partendo da precise osservazioni naturalistiche (rapidomimetismo dei sepiidae, criptomimetismo dei phasmidae, presunta memoria collettiva degli insetti sociali) e postulando un originale collegamento tra il fenomeno del mimetismo e il processo evolutivo. Inoltre, ispirandosi al concetto di “coerenza intellettuale” (secondo il quale se alcune conclusioni sono accettate in taluni ambiti scientifici e speculativi devono essere parimenti accettate in tutti gli altri ambiti, compreso quello evoluzionistico), ha compiuto tutta una serie di inediti collegamenti tra il fenomeno evoluzionistico, le neuroscienze, la fisica quantistica e la neurobiologia vegetale. In ultimo, ha provato a conciliare evoluzionismo e creazionismo facendo riferimento al monismo panteistico del suo conterraneo Giordano Bruno.
Egli, inoltre, prendendo prudentemente spunto da Galileo Galilei (che, nel vano tentativo di evitare gli anatemi della Chiesa, decise di pubblicare in forma di dialogo la sua teoria cosmologica in forma di dialogo invece che di saggio, nel celeberrimo “Dialogo sopra i due massimi sistemi”), ha pubblicato inizialmente la sua teoria nel romanzo “Leggendo una foglia” (Gruppo Editoriale L’Espresso. 2009) divenuto poi “Metamorfer. La gemma di Darwin” (Ed. Simple. 2011; Ed. Youcanprint. 2012).
Ma ciò non è bastato a metterlo a riparo dagli anatemi di quelli che avrebbe poi definito SAM (Studiosi Accademici Medi) i quali, soprattutto sui social network, lo attaccavano non tanto per i contenuti della sua ipotesi (che, in molti casi, non si erano neppure degnati di leggere) ma per il fatto stesso che egli avesse osato mettere in discussione Darwin e proposto alcuni collegamenti con la fisica quantistica.
Ebbene, bisogna chiarire che questo dei SAM è un atteggiamento ampiamente noto in psicologia sociale e in antropologia culturale, ed è conosciuto con la definizione di “conformismo ideologico”.
Tale comportamento fu studiato, nel 1956, da Solomon Asch con un famoso esperimento che mise in evidenza come l’essere membro di un gruppo è una condizione sufficiente a modificare le azioni dei singoli (che, per pigrizia o per convenienza, tendono a conformarsi alle opinioni dei membri più prestigiosi oppure della maggioranza del gruppo) e, in una certa misura, anche i giudizi e le percezioni sensoriali.
E allora, Pellegrino De Rosa, nel suo ultimo saggio divulgativo “L’evoluzione ideoplastica delle specie viventi” (Ed. Youcanprint. 2012), ha fatto notare ai sostenitori del darwinismo che il concetto di selezione naturale (che egli non contesta ma la cui importanza evoluzionistica tende a ridimensionare) non fu introdotto affatto da Charles Darwin, come generalmente essi vogliono far credere, ma da Arthur Russel Wallace, che lo
presentò prima in tre lettere da lui inviate proprio a Darwin e poi nell’articolo pubblicato nel 1858 con il titolo: “On the tendency of varieties to depart indefinitely from the original type”. Ciò per sottolineare il fatto che il conformismo ideologico ha condotto una parte del mondo accademico, per circa un secolo e mezzo, a difendere sempre e comunque Darwin, anche a costo di negare l’evidenza dei fatti.
L’autore, inoltre, ha invitato i ricercatori a voler predisporre degli esperimenti tendenti a verificare (o a confutare) la possibilità che la mente possa influenzare direttamente il genoma e l’epigenoma.
Qui di seguito sono riportati, sinteticamente, i principali aspetti della teoria.
Riassumendo, l’ipotesi di studio denominata Plasticismo Evolutivo o Evoluzionismo Ideoplastico propone che l’evoluzione degli esseri viventi sia dovuta a una presunta azione mutagena della psiche dei viventi che agirebbe direttamente sul genoma e sull’epigenoma delle cellule germinali (o, più in generale, delle cellule riproduttive).
Si fonda su precise osservazioni naturalistiche e, in special modo, sull’osservazione degli organismi mimetici.
In particolare, suppone che il meccanismo che induce le variazioni temporanee negli organismi rapido-mimetici (sepiidae) sia dello stesso tipo di quello che ha indotto le variazioni fissate geneticamente negli organismi cripto-mimetici come gli insetti-foglia (phasmidae), e che entrambi abbiano dei punti in comune con il meccanismo che consente l’acquisizione di nuove caratteristiche alle specie in evoluzione.
Si distingue dal neo-darwinismo perché non accetta il caso come causa delle mutazioni evolutive e, al contrario, ritiene che l’evoluzione sia orientata dalla volontà degli esseri viventi. Tuttavia, pur ridimensionandolo, accetta la fondatezza del meccanismo della selezione naturale.
Si distingue dal lamarckismo perché, pur ritenendo che le mutazioni siano indotte da una necessità vitale, non le spiega con l’azione di stimoli fisici (principio dell’uso e non uso) ma attraverso stimoli di natura psichica (azione ideoplastica).
Inoltre, rispetto al lamarckismo riesce anche a spiegare la comparsa di caratteri non dipendenti dall’uso e non uso e l’ereditarietà dei caratteri acquisiti (per azione diretta della psiche sul genoma).
Riconosce il fondamentale ruolo della genetica nell’espressione dei caratteri fenotipici, ma considera i geni più il veicolo che la fonte dell’evoluzione (non accetta, cioè, che mutazioni casuali nei geni possano condurre a mutazioni complesse e funzionali, ma solo a micro-mutazioni, spesso deleterie).
Suppone che tutti gli esseri viventi siano dotati di funzioni mentali e, per quanto riguarda i vegetali, fa anche riferimento alla neurobiologia vegetale.
Ipotizza che alcuni aspetti evoluzionistici possano essere spiegati secondo il paradigma olografico di Bohm. E, infine, pur ammettendo di non conoscere le modalità con cui la psiche agirebbe sui geni, avanza l’ipotesi che il meccanismo coinvolto possa essere di tipo quantistico (poiché le conclusioni della fisica quantistica relative alla materia inanimata devono essere valide anche per i sistemi biologici).
La posizione epistemologica dell’autore è espressa nel racconto “L’oggetto della discordia”, di seguito riportato.
Il file pdf della pubblicazione “L’evoluzione ideoplastica delle specie viventi” può essere scaricato gratuitamente da Internet (es. dal sito scribd.com).
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.