Entro il 2050 potremmo aver già raggiunto le conoscenze scientifiche necessarie a conferire un prolungamento notevole della vita fino a 1000 anni. È quanto sostiene con convinzione il bio-chimico inglese Aubrey de Grey, senza senza timore di apparire pazzo o poco “scientifico”, come alcuni lo accusano. La natura avrebbe scelto la morte dell’individuo come strategia finalizzata alla sopravvivenza e l’evoluzione delle specie, costringendolo a continuare, prolungare se stesso tramite la posterità. Come sostiene l’etologo britannico Richard Dawskins, nel suo controverso libro “il gene egoista”, noi saremmo delle macchine di sopravvivenza create dai geni immortali per immortalare se stessi.
L’azione terapeutica proposta da de Grey per ottenere l’agognata immortalità, visterebbe a “aggiustare” la “macchina” corporea. Riparando i danni accumulati nel tempo, si consentirebbe all’organismo di vivere molto a lungo. Il Progetto SENS (Strategies for Engineered Negligible Senescence), fondato e diretto da De Grey, si propone come obiettivo di fornire tecniche sofisticate e trattamenti chimici mirati capaci di contrastare ed arrestare l’azione devastatrice delle principali cause che innescano nell’organismo il processo di invecchiamento che conduce alla morte.
Le cause dell’invecchiamento conosciute da oltre 20 anni, si riducono a 7:
rifiuti:
1) extracellulari responsabili ad es. di malattie come il morbo di Alzheimer
2) intracellulari, responsabili ad es. dell’arteriosclerosi
cellule:
3) cellule morte che non vengono rimpiazzate
4) cellule dannose che vengono accumulate, come ad es. il grasso viscerale
mutazioni:
5) nei cromosomi, responsabili dei tumori
6) dei mitocondri, responsabili delle malattie mitocondriali
7) legami reciproci extracellulari tra proteine, responsabili ad es. dell’irrigidimento delle pareti arteriose
Intervista a Aubrey de Grey
di Stefano Gulminelli, pubblicata sulla rivista Espresso.
D. Lei afferma che l’approccio tradizionale della gerontologia (rallentare l’accumulo dei danni e dei cambiamenti dell’organismo dovuti alle normali funzioni metaboliche) non può funzionare perché richiede una profonda comprensione di processi metabolici estremamente complicati. Inoltre definisce l’approccio geriatrico una pura “gestione” dell’accumulo di questi danni. Quale invece il concetto di fondo della SENS ?
R. Vede, se una casa non crolla, non è perché è stata costruita per essere eterna ma perché, quando è il momento, i danni causati dal tempo vengono aggiustati. Ora, poiché è sostanzialmente impossibile impedire i danni cellulari e molecolari causati dall’invecchiamento, una strategia concreta e praticabile anti-aging è quella di accettare che questi danni finiscano per prodursi e concentrarsi invece sulla possibilità di ripararli prima che essi diventino causa di morte. Ricordiamoci che le categorie delle cause di invecchiamento ad oggi identificate sono sette; da oltre vent’anni, nonostante i grandi progressi della nostra capacità di analisi, non ne troviamo di nuove e questo ci fa presumere che probabilmente non ve ne sono altre. Poiché per ciascuna di queste cause c’è già almeno un tipo di rimedio più che promettente (vedi box), la SENS è una strategia non solo concreta ma anche, come dicevo, praticabile.
D. Stando alla SENS, quindi, chi dovesse finire per vivere qualche centinaio di anni, avrà un’infanzia e una gioventù “tradizionali” per poi cominciare a essere “riparati” durante l’età adulta, per rimanere praticamente senza età fino alla fine…
R. Esatto. Le riparazioni sarebbero periodiche e il processo di invecchiamento procederebbe fra un intervento e l’altro.
D. In qualche modo si potrebbe aspirare ad avere l’età biologica che si preferisce?
R. Solo in parte. E’ verosimile che ai diversi aspetti dell’invecchiamento si possa porre rimedio in diversa misura e con diverse frequenze di intervento.
D. La possibilità di controllare l’invecchiamento sarà una prerogativa riservata a chi se lo può permettere?
R. Non per molto. Einstein disse: “Il mondo è un posto pericoloso non perché la gente è cattiva ma perché la gente non fa molto per evitare che sia così”. In altre parole ci sono poche cose per le quali la gente pensa valga la pena di agire e agitarsi. Ma è vero anche l’inverso: quando la gente decide che qualcosa deve accadere allora il cambiamento può essere anche molto rapido. Quindi, ciò che è presumibile avvenga è che la gente non accetterà per nessun motivo che vi siano restrizioni all’accesso alle terapie anti-aging e spingerà perché si faccia qualsiasi cosa per allargarne la fruizione. Qualsiasi cosa: per esempio l’acquisto obbligatorio da parte dello Stato dei pur costosissimi brevetti che sono dietro tali terapie. Stiamo ovviamente parlando di contesti sociali in cui – come nei paesi occidentali – diventa impossibile opporsi alla pressione dell’opinione pubblica.
D. Lei dice: da un lato la gente non crede si possa fermare l’invecchiamento, dall’altro profeti di sventura alla Fukuyama mettono in guardia sugli effetti di una vita umana che si allunga. Tutto ciò comporta che siano poche le risorse investite nell’anti-aging, a danno dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico che potremmo invece avere in questo campo. Significa che la lotta all’invecchiamento è un problema tanto socio-culturale quanto scientifico?
R. Direi di più. Visto lo straordinario progresso che comunque la scienza sta facendo, oggi combattere l’invecchiamento è certamente più un problema socio-culturale che scientifico.
D. La comunità dei gerontologi non considera queste sue affermazioni troppo radicali o persino non sufficientemente “scientifiche”?
R. C’è chi mi accusa di non essere sufficientemente scientifico nonostante le mie idee siano regolarmente esposte su pubblicazioni scientifiche e siano accuratamente esaminate dai biologi maggiormente esperti nei loro campi. Campi che peraltro spesso non sono di tradizionale pertinenza della gerontologia e sono quindi poco conosciuti dai gerontologi. Quanto all’essere radicale, la cosa ha probabilmente più a che fare con quanto dico al grande pubblico che per quello che affermo nei circoli scientifici. Qualche collega pensa che in questo senso io faccia più danno che altro. Io credo al contrario che il silenzio sia la scelta sbagliata: potremo attrarre i fondi necessari per la spinta decisiva alla lotta all’invecchiamento solo e soltanto se la gente ha la chiara sensazione che gli esperti sanno davvero poi cosa farne.
D. Un fattore non tecnologico ma decisivo per l’allungamento della vita umana è quello che lei chiama “l’aumento dell’avversione al rischio”…
R. E’ semplice: noi saremo disposti a prendere molti meno rischi nella nostra vita se sapremo che abbiamo un “ammontare di vita” molto più lungo da perdere. Una cosa che dubito faremo una volta che avremo una prospettiva di vita di 150 anni sarà quella di andare in auto. Anzi, credo che verrà proibito in quanto troppo pericoloso non solo per sé stessi ma anche per gli altri.
D. Ammettiamo possa essere necessaria solo qualche decina d’anni per raddoppiare o magari triplicare la nostra aspettativa di vita. Quanto ci vorrebbe perché l’essere umano (e la società) metabolizzi l’idea e sviluppi la necessaria “saggezza” psicologica?
R. Ci metteremo molto, non c’è dubbio. Ciò che più mi preoccupa è che gran parte di questo processo d’apprendimento dovrà avvenire molto in fretta – e, secondo me, abbastanza presto – non appena la società si troverà dinanzi alla concreta possibilità di un forte allungamento della prospettiva di vita, prima ancora cioè che la cosa effettivamente accada. Ma ce la faremo, come sempre abbiano fatto nella nostra storia di uomini. Un po’ come con la Rivoluzione Industriale – davvero male all’inizio, ma alquanto bene dopo.
http://www.ted.com/talks/aubrey_de_grey_says_we_can_avoid_aging.html
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