Hatikvà

Hatikvà (la speranza) - misto su tela, 300x150 cm (collezione privata)

 

Commissionata da una yeshivà israeliana di kippòt srugòt (scuola religiosa che impartisce lo studio della Torah e un metodo di educazione fondato sugli insegnameni di Rav Kook), questa grande tela vuole essere un’opera pedagogica che sintetizza la speranza del sionismo religioso: di qui il nome “Hatikvà”, come l’inno nazionale israeliano che in ebraico significa “la speranza”.
Il pensiero di Rav Kook non ha nessuna connotazione politica, ma è completamente fondato sui principi della Kabalah, in particolare sui concetti base della Kaballah luriana; ed è per questa ragione che i suoi scritti risultano di difficile comprensione a chi non abbia una profonda conoscenza della Kabalah. Destinata ad un pubblico di giovani studenti, l’opera si sforza di tradurre questi difficili concetti in un linguaggio semplice e immediato.

Offriamo ai lettori una guida ad una lettura approfondita dell’immagine:

Il dipinto è incluso fra due parentesi visive: dal nero al bianco, dal basso in alto, dalla Shoah al terzo Tempio Gerusalemme.

 

Da destra a sinistra. Il racconto si sviluppa da destra verso sinistra, secondo la direzione della scrittura ebraica: l’ebreo comincia ogni sua azione positiva partendo dalla destra, simbolo di Hessed, la sefirà dell’amore, in quanto l’amore e la compassione devono sempre prevalere sulla sinistra, simbolo di Ghevurà, la sefirà del rigore (infila prima la scarpa destra e poi quella sinistra; l’abbottonatura della sua camicia va da destra verso sinistra, ecc…).

Dal basso verso l’alto. Il dipinto comincia dal basso a destra e corre verso l’alto a sinistra; questo indica la direzione a senso unico della storia ebraica: il cammino verso la Gheulà, la Redenzione, è in salita, è una progressiva ascesa dal male verso il bene. Il punto più basso della storia più recente del popolo ebraico è caratterizzato dalla Shoah: qui si ha il nero assoluto, l’inghiottimento di ogni colore e sfumatura.

Le strisce blu e bianche. Il quadro si snoda su una struttura base fatta di strisce verticali, come in una tastiera di toni di colore, in cui si alternano varie tonalità di blu e di grigio, in una progressione cromatica che comincia dal nero e si conclude nel bianco. Il tessuto a strisce blu e bianche costituisce il filo conduttore dell’illustrazione: le tute indossate dagli ebrei internati nei campi di sterminio erano rudi pigiami a righe blu e bianche; ritroviamo le righe blu e bianche nel tessuto che fodera il materasso che l’ebreo sopravvissuto all’Olocausto salendo in Israele carica sul capo, nel tessuto degli scialli di preghiera, i tallit, appesi ad asciugare accanto alle tende dei primi accampamenti, per poi infine ritrovarlo nei tessuti delle bandiere israeliane: questa griglia a strisce blu e bianche, vuole mostrarci come i colori di un semplice tessuto possano costituire dei simboli portatori di speranza: in quelle strisce blu e bianche dei pigiami nazisti erano rinchiuse in germe le strisce blu e bianche del tallit e dello stendardo della riconquistata indipendenza d’Israele. Quei colori che ad Auschwitz erano simbolo di orrore e morte, oggi sono i simboli della libertà! Questo principio è l’essenza di tutta la Torah e di tutto il pensiero ebraico, fondamento della speranza messianica.

SHOAH. La Shoah si trova in basso ed emerge dal nero assoluto. Le strisce del grande pigiama di sfondo compongono una griglia di tinte monocrome che si stemperano lasciando lentamente emergere il blu inghiottito dal nero. In basso al centro del pigiama, vediamo l’ingresso principale del campo di Auschwitz, rappresentato come una enorme bocca aperta che spalanca le sue fauci per divorare gli ebrei in arrivo: le due finestre sopra di essa sembrano gli occhi dallo sguardo folle del Satàn. Non vediamo alcuna traccia di vita. Le immagini di quei luoghi ormai abbandonati, dei binari del treno, dei lunghi fili spinati e del macabro cartello che annuncia il pericolo di morte, si sovrappongono e si confondono, senza contorni precisi, e si alternano fra positivo e negativo fotografico: anche in questo c’è un richiamo ai concetti kaballistici, secondo i quali il male non ha una vera consistenza propria, ma è una forza che deve essere impiegata a servizio del bene…anche la Shoah ha un fine ultimo destinato alla riparazione e trasformazione del male in bene.

 

Filo spinato. Come possiamo vedere nell’immagine, il filo spinato prende gradatamente la forma di alcune parole scritte in ebraico: si tratta dei versetti 7 e 8 del capitolo 54 del Profeta Isaia.

“Per un breve istante ti ho abbandonato e con grande tenerezza ti raccoglierò
In un trasporto d’ira ti ho nascosto il mio volto per un istante e con amore eterno avrò misericordia di te, dice il Tuo Liberatore Hashèm”

Questi due versetti contengono entrambi l’aspetto del rigore divino, Ghevurà, e della sua misericordia, Hessed . Le parole che esprimono il rigore divino sembrano la continuazione del filo spinato e sono scritte in caretteri neri, nella fascia dove l’immagine è vista al positivo. Le parole di amore sono scritte in caratteri bianchi e netti nella fascia dell’immagine vista in negativo fotografico, dove il blu comincia ad emergere dal nero: anche nel negativo c’è già la presenza del bene i potenza.

Questo ci mette di fronte alla realtà del testo biblico che ci presenta un duplice atteggiamento divino di fronte alle azioni umane. Il testo biblico ci pone continuamente do fronte all’ardua sfida della teodicea, dell’esistenza del bene e del male. 

L’Alyah-la salita. Gli ebrei che tornano in Israele si chiamano ‘olìm, cioè coloro che salgono; gli ebrei che escono da Israele vengono chiamati yordìm, cioè coloro che scendono: questa connotazione di salita e discesa non è ovviamente geografica ma spirituale: secondo la Kabalah Israele è il luogo più elevato del mondo dal punto di vista mistico, e Gerusalemme è il punto più alto d’Israele, ombelico del mondo attraverso il quale tutto il mondo riceve sostentamento spirituale. Così nel quadro vediamo il pigiama aperto, e le strisce bianche cominciano a popolarsi di nubi che prendono vagamente la forma di una colomba in volo, simbolo di pace e speranza…il bianco e il blu del triste pigiama si mescolano con i colori del cielo: il dolore, la prova, per quanto atroce costituisce solo una breve parentesi che si apre sull’infinito.

 

  • In questo dipinto vediamo ritratte alcune immagini d’epoca che ritraggono i pochi superstiti della Shoah che salgono in Israele, la terra che D-o da sempre ha promesso ai nostri padri. Il sionismo religioso vede in questo graduale ritorno degli ebrei dispersi ai quattro angoli della terra, l’inizio del compimento delle promesse messianiche in cui tutto Israele sarà di nuovo riunito a Sion:

    Hashèm tuo D-o avrà misericordia di te, metterà fine al tuo esilio e ti radunerà di nuovo da tutti i popoli dove Hashèm vostro D-o ti aveva disperso” (Deuteronomio 30,3-4)

    Sapranno che io sono Hashèm, loro D-o, quando, dopoa averli dispersi fra le nazioni, li avrò ricondotti nel loro paese, senza lasciare là alcuno di essi” (Ezechiele 39, 27-28)

    Qui il blu presenta ancora una piccola percentuale di nero, e le figure di confondono con lo sfondo, a indicare i grandi disagi  e gli stenti che i pionieri affrontarono nel primo adattamento nelle zone aride e incolte della terra d’Israele.
    La figura dell’ebreo con il materasso sulla testa e le poche cose che portava con sé nel suo ritorno a Sion, si stacca netto dallo sfondo, quasi emerge e domina lo spazio e il tempo che lo ha preceduto.

 

  • Le danze. Gli ebrei tornati a Sion dimoravano sotto le tende come ai tempi biblici. Le danze circolari che caratterizzarono quel periodo testimoniano la gioia dei ritorno a casa dei rimpatriati a Sion. Qui il blu è puro e raggiunge la sua massima intensità.
  • La guerra dei sei giorni. Coloro che hanno commissionato il quadro, hanno richiesto espressamente che venisse introdotta l’immagine dei soldati di fronte al Muro del pianto, dopo aver riportato vittoria; l’immagine è inserita un po’ più in basso rispetto all’immagine che la precede e la segue, a indicare un dislivello, una breve discesa: la riconquista della terra promessa avviene purtroppo a prezzo di tante sofferenze. Questa immagine chiude bruscamente il percorso precedente e ci introduce nell’immagine della terra d’Israele ideale, immagine del giardino di Eden perduto. L’immagine si scompone in un puzzle a cui mancano diverse tessere: questo ci dice che il cammino della Redenzione non è completo e che il futuro è ancora da costruire.
  • Il Tempio. In alto, il fine ultimo della storia ebraica: la ricostruzione del terzo Tempio. Il Tempio è appena abbozzato, perché rimane ancora un ideale vago, di cui nessuno conosce i connotati precisi.

 

 

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