Shmirat Halashon
LE LEGGI DEL LINGUAGGIO
La Torah è l'incontro fra la parola di D' e la parola dell'uomo e la Kabbalah non è nient'altro che la mistica di questo linguaggio.
Per questo motivo la rettificazione della parola umana è uno degli scopi principali di molti testi sacri dell'ebraismo.
Lo Zohar e altri testi kabballistici insistono sul fatto che con le nostre parole distruggiamo o costruiamo mondi ad ogni istante.
A questo scopo Rabbi Israel Meir di Radin, conosciuto meglio come 'Hafetz Haiym, redasse il Sefer Shmirat Halashon (=libro per la custodia della lingua), che contiene tutto l'insegnamento etico della Torah legato al corretto uso del linguaggio. Qui in Israele è consuetudine largamente diffusa fra gli ebrei religiosi di studiare una halakah (=legge) al giorno concernente l'uso della lingua, e posso testimoniare che il frutto di questo quotidiano studio diffuso anche fra casalinghe, anziani e bambini, è il fatto straordinario e unico che risulti un'impresa molto molto difficile riuscire a trascinare un ebreo religioso nei pettegolezzi e nella maldicenza.
Non è inoltre possibile progredire in un autentico studio della Kabbalah senza la conoscenza e soprattutto senza l'applicazione di queste regole: la Kabbalah è la santificazione della materia mediante l'uso santo delle lettere dell'alfabeto ebraico, e le halakhot (=leggi) della shmirat halashon sono il mezzo per santificare l'uso della parola mediante la quale possiamo operare queste trasformazioni universali e cosmiche.
La Torah dice:
“giudicherai favorevolmente il tuo prossimo” (Vayikra-Lv 19,15)
“Vita e morte sono in potere della lingua.”
Nello Zohar sta scritto:
“Il Santo, sia Egli Benedetto, perdona tutto, salvo la lashon hara” (Parashat Shelah')
Lashon harah significa letteralmente “malalingua”.
Chi di noi non ha fatto l'esperienza del potere delle parole?
Chi di noi nella vita non ha mai sperimentato il potere distruttivo che parole cattive pronunciate contro di noi possono avere sul nostro inconscio? Tutti noi sappiamo che le parole uccidono.
Ognuno di noi può certo testimoniare che la maggior parte dei litigi, delle rotture, delle incomprensioni, degli odi visti o subiti nella vita, nascono dalle parole mal dette, mal espresse, da insulti e parole umilianti che feriscono e abbassano l'altro. “Lui mi ha detto...” “lei dice...” “non mi hanno detto...”
Tutti i nostri problemi relazionali nascono a livello della comunicazione che è in gran parte verbale; comunicazione intesa innanzitutto come il modo in cui noi comunichiamo con noi stessi e interpretiamo gli eventi esterni, e in seguito il modo con cui comunichiamo con gli altri. Vediamo come la critica feroce dei mass-media spesso infanghi l'immagine di una persona distruggendo la sua reputazione agli occhi dell'opinione pubblica: se i mezzi di comunicazione hanno etichettato qualcuno di omosessuale, anche se falso, sarà molto difficile convincersi del contrario. Nel migliore dei casi la critica avrà forgiato un dubbio nel nostro sub-cosciente.
Proprio perché i mezzi di comunicazione di massa troppo spesso violano le leggi della retta “comunicazione”, la maggior parte degli ebrei religiosi non legge giornali. Molti ebrei religiosi fanno la scelta radicale di non leggere più riviste e quotidiani per proteggere la mente dai pensieri negativi e per evitare che l'anima, per natura propensa al male, si lasci intossicare dal veleno della critica sistematica, della polemica e della continua protesta. Seppur gli articoli dei giornali ci mostrino anche lieti eventi, il più delle volte condannano qualcuno o qualcosa, mostrano tragedie e episodi negativi che non fanno che intristirci e convincerci che il mondo va male, tutto fa schifo...
La Torah proibisce a noi ebrei religiosi di ascoltare e dare credito alle critiche che concernono una qualunque persona.
Se le parole hanno il potere di distruggere la stima, l'immagine di una persona e il suo intimo sé, le parole hanno anche il potere di costruire, di infondere coraggio, di rialzare, elevare l'uomo, di lenire le ferite, di comunicare amore, di riparare i danni provocati dai cattivi giudizi e dalle critiche.
Il linguaggio definisce l'uomo, da come parla un uomo intuiamo la sua personalità.
Maharahal ci spiega che la stessa anatomia della lingua ci dice la sua funzione: essa è generalmente nascosta ma la udiamo, D' l'ha creata così perché essa ha il ruolo di rivelare ciò che è nascosto: la lingua mette a nudo le intenzioni, i pensieri, le idee. La bocca rivela cosa c'è nel cuore, è il tubo di scappamento del veleno che uno cova dentro.
La Torah ci insegna che la qualità della nostra vita dipende dalla qualità di parole che usiamo sia nel monologo interiore con noi stessi che nel dialogo esteriore con gli altri.
Le parole offensive nascono da passioni non rettificate come l'odio, la collera, l'orgoglio, l'invidia; mentre le parole dolci nascono dalle virtù dell'umiltà, amore, comprensione, tolleranza, pazienza, compassione, pace, rispetto del prossimo.
Alla radice di ogni incomprensione, amicizia spezzata e divorzio c'è un seme di odio alimentato da parole offensive che disprezzano, riducono l'altro, feriscono e dividono. Sradicando dal nostro vocabolario tutte le parole distruttrici, mediante l'applicazione delle leggi del linguaggio, miglioriamo la nostra vita e quella di chi ci sta intorno.
Spesso una parola mal detta può compromettere irrimediabilmente una vecchia amicizia. Una parola cattiva che etichetta una persona di banale, può ancorarsi nello spirito di coloro che l'ascoltano.
Ma le parole operano anche miracoli. Con parole incoraggiamento possiamo salvare un fratello dalla disperazione. Le parole hanno il potere di santificare il mondo profano, trasformare una coppa di vino in kiddush, un pezzo di pane in lode al Creatore.
Ciò che permette la pratica di queste halakot è la capacità di vedere il bene negli altri e ovunque.
La lashon hara corrompe la capacità di un ebreo di dar vita alle parole del suo studio e impedisce alle proprie preghiere di venir ascoltate in Alto.
Il corpo umano alla morte è scomposto negli stessi minerali e elementi chimici di un vegetale. Ma il corpo è un ricettacolo all'anima e la lingua è il mezzo per cui l'uomo può elevare la materia alla realtà spirituale per mezzo delle parole che pronuncia. L'uomo è l'unica creatura in cui la materia e lo spirito s'incontrano, e l'uso della parola è la fonte del suo libero arbitrio.
La parola ha il temibile potere di ridefinire la realtà: nel momento in cui pronunciamo un giudizio, il pensiero lascia il regno della mente per prendere corpo nella parola, influenzando chi l'ascolta.
Le parole assomigliano ad un sigillo che apportiamo ai pensieri e giudizi che esse formulano.
Lo Zohar ci dice che satana ci accusa dinanzi al tribunale celeste con le stesse parole che noi abbiamo pronunciato contro qualcuno.
La giustizia divina è severa contro chi giudica severamente. Come ciascuno di noi è pronto a scusarsi per i propri errori dobbiamo usare la stessa indulgenza nei confronti degli altri.
La lashon harah è un'arma fatta di parole con un gran potere distruttore.
'Hafetz haiym dice che anche se uno dedicasse tutta la sua vita allo studio della Torah e all'osservanza delle mitzvot ma avesse sempre sparlato male del prossimo e fatto cattivo uso della sua lingua seminando discordia e inimicizia, alla fine dinanzi al Tribunale Divino si ritroverà privo di tutto, in quanto tutti i suoi meriti saranno imputati trasferiti sul conto delle vittime seminate dalla sua maldicenza.
Ciò che diciamo, ciò che ascoltiamo e ciò che dicono di noi può cambiare il corso della nostra vita.
La lashon harah abbassa colui che ne è la vittima agli occhi dei suoi simili. Spesso le persone si attribuiscono il valore che gli altri gli dimostrano: se gli altri ci trattano come degli stupidi facilmente ci sentiremo degli stupidi, se gli altri ci considerano intelligenti facilmente ci sentiremo intelligenti, se gli altri ci dimostrano rispetto ci sentiremo rispettabili, se ci ignorano ci sentiremo insignificanti. Le parole offensive a volte non arrivano direttamente all'orecchio dell'interessato, ma egli se ne accorge per un cambiamento di comportamento che gli altri mostrano nei suoi confronti...così l'opinione che questa persona ha di se stessa viene alterata: gli altri hanno violato il suo io interiore, lo hanno spogliato di qualcosa della sua immagine, qualcosa dentro di lui si è spento.
Quando invece vediamo solo il bene negli altri, li innalziamo, li eleviamo dalla bassa stima che hanno di loro stessi, diamo loro l'opportunità di credere nel loro potenziale nascosto. Quando si vede una persona che crede in se stessa si può essere tentati di distruggere l'immagine che la persona ha di se stessa e che gli altri hanno di lei: possiamo annientare questa cattiva inclinazione rinforzando questa fiducia e mettendo sempre in evidenza i pregi di ciascuno.
Abituandosi a vedere il bene negli altri, scopriremo i loro pregi e li metteremo in luce.
La lashon harah prova fino a che punto siamo convinti della superiorità assoluta dei nostri propri criteri. Nasce dal rifiuto del diritto alla diversità. Che si tratti di usi diversi dai nostri, da opinioni che non condividiamo, alla base di questa intolleranza si trova la certezza che solo il nostro modo di fare e pensare sia quello giusto.
Questo bisogno egoista di affermare la superiorità delle nostre proprie concezioni è in realtà una negazione della specificità di ogni creatura umana.
“Così come i volti (degli esseri umani) non si assomigliano, così non si assomigliano i loro modi di pensare”
(Bamidbar Rabba 21,2)
Le parole rivelano la nostra interpretazione degli eventi, e sono lo strumento per mezzo del quale mettiamo in evidenza la nostra visione delle cose. Esistono parole veramente obiettive?
Condannare ed accusare qualcuno significa ignorare e ridurre l'immagine di D' che ogni uomo porta impressa in sé: colui che pronuncia la lashon hara tenta di innalzare se stesso abbassando l'altro. Dichiarando l'altro sbagliato, evidenzio il fatto di credermi migliore di lui; “i suoi figli sono insolenti, i miei sono ben educati”: invece di investire le nostre forze nel creare un mondo migliore attorno a noi, ci accontentiamo di farci grandi osservando dall'alto in basso coloro che con i nostri giudizi abbiamo precipitato a terra. Vedere sempre e solo il bene, significa proclamare che tutto ciò che D' ha creato è buono ed è destinato ad operare per il bene.
I Saggi considerano che parlare male del prossimo è un peccato grave quanto l'idolatria, l'immoralità e l'assassinio; infatti ci dicono che mentre l'assassino uccide una persona sola, colui che commette il peccato di lashon harah ne uccide tre contemporaneamente: colui che male-dice, colui che ascolta e la persona in causa.
La lashon harah ha diverse gradazioni e livelli di gravità.
La rekhiluth è il riportare ad una persona un'informazione peggiorativa che una terza persone ha pronunciato sul suo conto: questo è un modo di seminare la discordia fra le persone.
La hotzaath chem rah, la calunnia è il livello più grave della lashon harah, perché mentre nelle critiche, giudizi, pettegolezzi vi è una parte di verità, la calunnia diffonde un'opinione completamente falsa.
Onaath devarim è la categoria che si riferisce agli insulti, le imprecazioni e alle parole di disprezzo che feriscono l'altro: la Torah considera il trauma che certe parole provocano sulla persona che le riceve, pari a quello causato dall'aver subito un danno materiale.
Questo cosa significa? Sopportare passivamente i malvagi? Rendersi silenti complici del male? No, le halakot della shmirat halashon ci insegnano come è possibile educare, correggere e riprendere le persone che ci fanno un torto o che commettono un errore, con la dovuta dolcezza, compassione e misericordia che vorremmo che gli altri usassero nei nostri confronti se ci trovassimo in una situazione simile.
Sono innumerevoli le situazioni nelle quali se non sappiamo affrontare certi argomenti con la dovuta delicatezza, rischiamo di ferire il nostro interlocutore e di fargli perdere la fiducia che egli ha in se stesso o di ledere la sua autostima, infliggendogli sentimenti d'incapacità e d'inutilità.
Noi per natura amiamo coloro che ci amano, e detestiamo coloro che ci detestano. L'amore genera l'amore, la stima suscita la stima.
Colui che è benevolo verso tutti e parla bene degli altri è apprezzato in questo mondo e nell'altro, le persone cercheranno la sua compagnia e riporranno in lui la loro fiducia.
La Torah proibisce ad un ebreo che avesse visto un altro ebreo commettere una cattiva azione di raccontare ad un altro ciò che di cui è testimone: è come se D' gli dicesse: “per favore, non raccontare a nessuno ciò che hai visto!”, come un Padre amorevole, D' non può sopportare che vengano criticati i suoi figli, anche quando avessero torto. D' giudica favorevolmente coloro che avranno giudicato favorevolmente il loro prossimo.
Le halakot che riguardano la smirat halashon sono innumerevoli; come dicevamo, in Israele è una prassi comune fra i religiosi studiare una halaka al giorno sulla shmirat halashon. Ne pubblichiamo alcune come esempio e come incitamento a studiarle e metterle in pratica.
DIRE E ASCOLTARE
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per lashon harah si intende ogni parola peggiorativa che possa nuocere a un'altra persona.
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Esaminare i difetti altrui è un'azione riprovevole, vile e disprezzabile in sé stessa.
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Sembrerebbe che sia permesso dire che non ci piace lo stile di un certo oratore. Ma in realtà i commenti di questo genere sono proibiti perché sottintendono che l'oratore in questione non è molto interessante.
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È proibito parlare del passato di un'altra persona.
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È proibito pronunciare giudizi peggiorativi su un'altra persona anche nel caso in cui sottolineassimo di aver lo stesso difetto o di aver commesso lo stesso peccato.
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E' proibito pronunciare giudizi negativi anche se la persona in questione dicesse che ciò non la disturba.
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Le notizie riportate dai media si fondano spesso su pettegolezzi infondati. Non si ha il diritto di credere a questi propositi, né di ripetere l'informazione senza averne rigorosamente verificato la veridicità.
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È consigliabile non soffermarsi sui difetti di qualcosa quando non è indispensabile, anche quando si tratta di oggetti profani. Si racconta che un Maestro passeggiava con i suoi discepoli. Passando accanto ad una carogna i discepoli esclamarono “che fetore/puanteur!” “guardate piuttosto come sono bianchi i suoi denti” rispose il Saggio.
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È proibito riportare un'informazione peggiorativa concernente un'altra persona anche ad un amico, ad un membro della propria famiglia e al proprio coniuge.
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Non si ha il diritto di riportare un'informazione che, sebbene non diffamatoria, potrebbe provocare un pregiudizio in vista di un impiego o di uno shidduk (=incontro in vista di matrimonio).
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Parlare di un prodotto in termini che potrebbero dissuadere altri ad acquistarlo, può provocare dei pregiudizi e dei danni finanziari al fornitore e al venditore.
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Lamentarsi di un cibo che ci viene posto potrebbe offendere colui che lo ha preparato.
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Colui che ha causato un torto a un'altra persona deve chiedergli perdono anche se la persona in questione lo ignora. Ma se questo dovesse far soffrire la vittima è preferibile rinunciare a questa tappa di teshuvà.
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È proibito trasmettere un'informazione peggiorativa anche soltanto per mezzo di un cenno, uno sguardo, un codice, un'allusione, una smorfia, un sorriso ironico.
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È proibito rivelare il nome di un autore di un libro ritenuto mediocre.
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Le critiche sono proibite anche se si evita di pronunciare i nomi delle persone in causa, dal momento che è facile intuire di chi si tratti.
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Sono proibite anche le critiche che non concernono singole persone ma che gettano un'ombra su un'intera categoria di persone o su un intero gruppo.
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Riportare un'informazione peggiorativa che sia esatta ma che abbiamo esagerato o anche leggermente modificata significa commettere una calunnia.
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Raccontare una storia divertente per far divertire il pubblico, ma che potrebbe mettere in imbarazzo la persona nel caso in cui essa fosse stata presente, è lashon harah.
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Elogiare sinceramente una persona e allo stesso tempo fare allusione ad un suo difetto è avak lashon harah, cioè “polvere di mala lingua”
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Riunire attorno ad un tavolo degli antagonisti è opera di pace.
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È proibito fare l'elogio di una persona in presenza di qualcuno che non la ama, al fine di non incitare il suo nemico alla polemica e alla critica, e a sottolineare i suoi difetti.
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È proibito lodare un uomo d'affari in presenza dei suoi concorrenti.
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Dire che si preferisce non parlare di un tale è un commento peggiorativo che lascia sottintendere che siamo al corrente di cose negative sul conto di quella persona.
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Un ebreo deve essere pronto a rinunciare al proprio benessere, alla propria posizione sociale e anche al proprio impiego se ciò dovesse costringerlo a trasgredire ad uno solo dei comandamenti divini, e questo è valido anche per ciò che potrebbe trascinarlo a commettere della lashon harah.
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È riprovevole provare piacere a dire del male altrui anche se a fine costruttivo.
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Se esiste la pur minima possibilità di interpretare positivamente la condotta di qualcuno, si ha il dovere di credere che l'accusato si sia immediatamente pentito di aver commesso il suo errore, o che non lo abbia commesso con cattiva intenzione.
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Se è evidente che una persona abbia commesso un peccato dinanzi ai nostri occhi, siamo tenuti a rimproverarla, ma facendolo con il dovuto tatto e rispetto, in modo d'aiutarla a vincere la sua propensione al male senza ferirla inutilmente.
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La Torah condanna l'ipocrisia: è proibito criticare una persona dietro le sue spalle, mostrando invece dinanzi a lei di approvare la sua condotta. Bisognerà dunque dimostrare rispetto alla persona e la propria disapprovazione verso la sua condotta.
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Una denuncia può essere sporta al fine di proteggere gli altri solo nel caso in cui l'individuo in questione sia veramente un pericolo pubblico.
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È proibito mettere in ridicolo i nostri avversari per guadagnarci la simpatia di qualcuno.
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Se tutto ciò che si guadagna nel rivelare l'identità del colpevole è di discolpare se stessi, è proibito farlo. Si ha il diritto di protestare e sostenere la propria innocenza senza incriminare nessun altro.
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Anche se la persona coinvolta in una disputa è un membro della nostra famiglia, non abbiamo il diritto di prendervi parte, ma dobbiamo cercare di calmare piuttosto gli animi per tentare di ristabilire la pace fra i contendenti.
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È proibito parlare di una persona con il suo avversario, ma è un dovere farlo nel momento in cui sappiamo di poter giocare un ruolo di mediatore in vista di riappacificare le due parti.
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Com'è proibito dire lashon harah, allo stesso modo è proibito ascoltare della lashon harah: ascoltando pettegolezzi, maldicenze e critiche offriamo un auditorio a colui che parla rendendoci complici del suo peccato.
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È proibito ascoltare della lashon harah non solo in vista di preservare se stessi da una colpa, ma soprattutto in vista di impedire di far commettere una colpa ad un altro ebreo.
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Il rimprovero è consentito quanto è fatto con il dovuto rispetto e se fatto in privato; quando non siamo certi che il nostro rimprovero persuaderà la persona a ravvedersi dai suoi errori, è proibito farlo: nel caso contrario il nostro rimprovero rischia di trasformare un peccatore involontario in un peccatore volontario.
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Non si ha diritto di chiedere informazioni sul conto di una terza persona a qualcuno che non intrattenga buoni rapporti con essa.
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Se una persona parla contro un'altra per dare sfogo alla propria frustrazione o per alleviare la propria sofferenza, è un dovere ascoltarla dimostrando di partecipare ai suoi sentimenti. È però opportuno recarsi dalla medesima persona in un secondo tempo, quando la collera si sarà attenuata, al fine di persuaderla che forse si era sbagliata sul conto dell'altra persona.
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Non si ha il diritto di credere ad una critica, anche quando fosse stata riportata a scopo costruttivo, e di conseguenza non è permesso riportarla a qualcun altro come fosse un fatto.
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I rapporti che intratteniamo con l'accusato devono restare immutati: molto probabilmente le informazioni che abbiamo sul suo conto sono inesatte o del tutto false e infondate.
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Se udiamo che qualcuno che domanda la carità non è un vero bisognoso, non abbiamo diritto di rifiutargli l'aiuto richiesto prima di aver fatto una rigorosa inchiesta che provi irrefutabilmente che la persona in questione non ne abbia davvero bisogno.
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Il vero paziente è colui che sa sopportare l'insulto in silenzio, che attribuisce tutto ciò che gli accade alla volontà di D' e che attribuisce ai propri peccati la vera causa dei suoi problemi.
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È proibito prendere in giro le persone, di ironizzare sui loro difetti, di denigrarle anche solo per gioco.
(questo testo è liberamente tratto da "'Hafets 'Haim, un jour une halakha" di Rav Finkelman e Rav Berkowitz; questo argomento è sviluppato all’interno del testo “Liberazione dall’Egitto Interiore, il diritto di essere se stessi” di prossima pubblicazione.
Chi desiderasse ordinarlo può farne richiesta tramite posta elettronica al nostro indirizzo: kabballart@gmail.com )